Da tempo avevamo pensato di organizzare un evento allo scopo di far riconoscere e condividere, attraverso l’informazione e la sensibilizzazione, la Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne che si celebra il 25 novembre, e di cui molti, direi troppi, non sono a conoscenza.
La scelta era stata fatta in onore delle sorelle Mirabel, attiviste della repubblica Dominicana, uccise per la loro opposizione al regime dittatoriale.
Avevamo anche previsto azioni di flash mob nei vari quartieri della città, ma purtroppo il Covid ha frenato tutto.
Noi, comunque, sentiamo la necessità di costruire una coscienza sociale contro la violenza di genere, perché il fenomeno è in costante crescita: in Italia, ogni due o tre giorni muore una donna, uccisa da colui che diceva di amarla.
Siamo convinti fautori di dover estendere i famosi protocolli di intesa con Enti Pubblici e Privati, Istituzioni Religiose, Civile, Militari, associazioni di vario tipo e tutti coloro che vogliono dare un supporto al contrasto alla violenza.
Noi, per esempio, non siamo mai stati interpellati, mentre i recenti fatti di cronaca mostrano un incremento della violenza sulle donne, spesso causato dal silenzio, il male più grande di questo problema. In particolare, in alcuni quartieri periferici, e nei piccoli centri, la violenza si consuma nell’indifferenza e continua ad essere avvolta dal silenzio.
La violenza non avviene al mattino nello studio dello psicanalista, ma avviene la domenica nel pomeriggio o la notte tardi, quando nessuno può sentire una richiesta di aiuto. Per questo riteniamo che questa violenza è un problema di donne, perché è compito nostro trovare lo spirito per mettere a disposizione l’esperienza trascorsa, perché nessun’altra donna possa ripeterla. È compito nostro mettere a disposizione lo studio di tanti anni verso chi non sa nemmeno cosa deve fare qualora dovesse capitarle, anche se costa coraggio e fatica.
Un po’ per paura, un po’ per vergogna, ci si chiude dentro quasi a farsene una colpa.
Al di là delle risposte che si attendono dalle Istituzioni, le donne devono rendersi conto che il primo passo da compiere è proprio quello della presa di coscienza. Purtroppo, la mia esperienza mi ha dato modo di constatare che esiste una sorta di difficoltà, a cavallo tra il timore ed il pudore, delle donne a parlare di quel problema dalle mille sfaccettature, che vanno dalla molestia del datore di lavoro, alla violenza verbale di chi si ritiene autorizzato di poterla esercitare impunemente, alla protervia sessuale, fino allo stato di soggiogamento in cui, purtroppo, ancora oggi tante sono costrette a trascinarsi. Chiaramente, non stiamo dicendo di mettere in piazza i propri affari, ma, cosa diversa, è prendere coscienza che forse quel problema è un problema che accomuna anche tante altre donne.
Ciò è intollerabile, e pensiamo che i Comuni dovrebbero proporsi come portavoce della lotta alla violenza sulle donne.
Consideriamo anche l’aiuto che può venire da chi può comprendere quel problema, da chi l’ha già visto su di sé o su altre, che ha già parlato e sa fornire il consiglio giusto al momento giusto. E questo prima del medico, dello psicologo, dell’avvocato, e questa parola di una persona amica può dare la forza di arrivare a domattina, di stringere i denti ancora una volta, per farci ricordare che non siamo sole contro tutti.
E, parliamoci chiaro, la violenza avviene quando la donna è sola, lontano da tutto e da tutti, quando non ha nemmeno la forza di rialzarsi, e non solo con le mani, ma anche con le parole, i gesti, i soldi.
Noi del Telefono Azzurro Rosa, con le nostre piccole forze, e senza alcun contributo, ce la mettiamo proprio tutta. Rispondiamo a circa duemila telefonate l’anno, delle quali almeno duecento sono prese in carico e seguite dai vari professionisti volontari.
Infine, è nostro compito trovare l’impegno che ci unisca, indipendentemente dalle etichette politiche o culturali, che ci faccia creare luoghi dove decidere come aiutare chi sta subendo un affronto, attraverso una linea telefonica, uno studio di consulenza legale o psicologico: non importa il metodo, ciò che conta è la dimostrazione di sapere affermare la propria femminilità anche attraverso l’impegno che questa ci chiede giorno dopo giorno, quotidianamente.
In conclusione, “la violenza sulle donne è un problema delle donne”.
Dopo più di trent’anni di attività come fondatrice e presidente del Telefono Azzurro Rosa, associazione nata appunto per fornire un centro di ascolto telefonico e primo intervento a favore di tutti coloro che si trovano a subire una qualsiasi forma di violenza, penso che nel nostro gruppo abbiano avuto una rilevanza particolare le donne e i bambini, che notoriamente sono in condizioni di minor capacità difensiva fisica e strumentale. E non è un caso che la maggioranza degli operatori volontari che prestano la loro opera in questa iniziativa, sia formata da donne.
Ivana Giannetti – Presidente dell’Associazione Telefono Azzurro Rosa ONLUS